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L'avvocato


di amangani
28.08.2024    |    9.212    |    15 9.4
"Allora allungai una mano e gli toccai l’orecchio..."
Avevo trascorso l’intera mattinata a difendere un uomo accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza, all'epoca dei fatti minorenne. Il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a sette anni di carcere, io avevo chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste.
Non è sempre facile per me difendere gli imputati che si rivolgono a me, spesso mi trovo in difficoltà, specie quando devo difendere persone manifestamente colpevoli, ma noi avvocati abbiamo il dovere di tutelare i diritti di tutti, siano esso colpevoli o innocenti: il diritto di difesa è un baluardo della società civile, difeso dalla Costituzione.
Nel caso di quella mattina, l'imputato si era sempre dichiarato innocente sostenendo che la ragazza si era inventata tutto. La giovane donna, invece, aveva raccontato che si conoscevano da qualche mese. Una sera si sono recati insieme in un bar e lei, dopo qualche bicchiere, era andata in bagno, facendosi accompagnare dal ragazzo: aveva lasciato la porta socchiusa e aveva chiesto all’amico di porgerle dei fazzoletti. Il mio cliente sarebbe entrato, avrebbe tappato la bocca di lei con una mano, le avrebbe sfilato i pantaloni, e l’avrebbe violentata.
Confesso che in cuor mio, ero fermamente convinto dell’innocenza del mio cliente. Avevamo avuto diversi colloqui e, benché fosse un personal trainer di ventisette anni dal temperamento assertivo, a tratti arrogante, con un fisico scolpito dai muscoli, la sua versione mi sembrava convincente.
Oltre al fatto che io, al posto della ragazza, non avrei di certo indugiato: se un figo come quello fosse entrato nel bagno dove stavo, mi sarei messo in ginocchio senza indugio e sarei stato io a sfilargli i pantaloni per fargli una pompa memorabile.
Confesso che durante gli incontri con il mio cliente ho spesso fantasticato sul suo conto. Una volta, eravamo nel mio studio e mentre parlava, mi sono incantato immaginando che lo sorprendevo nel mio appartamento a rubare e, dopo avermi immobilizzato, mi inculava senza pietà.
Fu imbarazzante dovermi ricomporre e continuare a parlare di lavoro con lui perché un’erezione poderosa mi scoppiava dentro le mutande.
Diventare il suo avvocato leccapiedi mi eccitava da impazzire…Ma erano fantasie irrealizzabili; io sono un affermato professionista, sposato e con figli e non potrei mai rischiare di farmi ricattare da un mio cliente, per quanto l’idea mi ecciti moltissimo.
Quella mattina, al termine dell’udienza, era esausto e affamato, così andai nel bar di fronte al tribunale per rifocillarmi.
Era una bella giornata, la luce dell’aria non sembrava quella di fine novembre, ma quella di un’estrema, eterna primavera.
Nel tavolino di fronte al mio, era seduto un ragazzo, poco più che ventenne, intento a sorseggiare una birra da solo. Era bello, molto bello. Aveva occhi e capelli di un nero assoluto, capace di assorbire tutti i colori circostanti; non avevo mai visto uno sguardo, così intenso da farlo sembrare un attore di Bollywood.
Era davvero alto, con un fisico asciutto e atletico. Aveva delle mani bellissime, maschie, ma affusolate. L’aria era quello di uno studente universitario; del resto, l’università era poco distante.
Quando lo vidi non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso: seguivo il suo profilo perfetto, la peluria scura sul dorso delle sue mani. Gli fissavo i capelli folti e morbidi, immaginando di passarci le dita.
Volevo che mi guardasse. Volevo che mi toccasse. Non m’importava come. Ma al tempo stesso avevo paura che i miei pensieri si disvelassero.
Lui, quando mi sorprese a fissarlo, sfoderò un sorrisetto d’intesa, dapprima come un angelo, poi le labbra si incresparono in un ghigno e gli occhi sprizzarono scherno. O almeno così mi sembrò per un istante, perché subito distolsi lo sguardo da lui.
La cosa poteva finire lì, sennonché quell’espressione che aveva sul viso, quel modo di socchiudere gli occhi e di far intravedere i denti sotto il labbro superiore, mi sembrava così bella che non sopportavo di vederla svanire.
Fu allora che lo vidi avvicinarsi a me e con aria sicura fece: “Mi scusi se la disturbo, posso farle una domanda?”
Io, terrorizzato all’idea che avesse capito quanto mi piacesse, sforzandomi di mostrare indifferenza, risposi: “Prego…”“Lei è un avvocato?”
“Si, come fai a saperlo?”
“Ho visto il codice di procedura penale, appoggiato sulla sua cartella da lavoro…e poi il tribunale e proprio qui di fronte.”
“Hai bisogno di un avvocato? Posso esserti di aiuto?”, feci in tono dolce, d’intesa, quello che, secondo me, avrebbe adottato un amante innamorato. Mi vergognai di questo e puntai gli occhi verso un punto imprecisato. Avrei voluto sparire.
Lui rimase in silenzio per un lunghissimo minuto, fissandomi con quella stessa espressione di scherno che gli era balenata sul viso poco prima, quando ero riuscito ad attirare la sua attenzione. “Forse sì”, rispose, continuando a fissarmi, questa volta serio. Quello sguardo lo faceva apparire un uomo adulto.
“Sono uno studente iscritto al terzo anno di giurisprudenza e il mio sogno è diventare un avvocato…”
”Mi sembra un bel progetto, ma è una professione irta di difficoltà.”
“Immagino, ma credo che la guida di un bravo avvocato possa essere di aiuto, non trova?”
Lo guardai dapprima con stupore, poi con un lampo di gioia: per un istante mi sentii sospeso in una realtà più prossima al sogno che alla realtà. Per fortuna mi destai rapidamente da quello stato: lui era un ragazzo bellissimo e io un uomo di trent’anni più grande, ancora molto in forma, affascinante, ma certo lui non poteva avere alcun interesse nei mei confronti, senz’altro non il mio stesso interesse.
“Mi chiamo Jacopo”, mi presentai allungandogli la mano.
“Giorgio.” Mi strinse la mano con una presa talmente salda da farmi sentire un fremito scorrermi lungo la spina dorsale.
Prendemmo a conversare amabilmente per più di un’ora, come se fossimo amici da sempre. Giorgio mangiò tre panini e trangugiò altrettante birre, io invece non riuscii a toccare cibo per l’emozione che quell’incontro aveva provocato in me e per la svolta inattesa che sembrava aver preso.
Quando mi resi conto che ci eravamo dilungati al bar, pagai il conto per entrambi e uscimmo incamminandoci senza una meta precisa.
Poi, dopo pochi passi, prendendo coraggio gli dissi: «Ti va di venire nel mio studio, è proprio qui…nella strada parallela. Potrei mostrarti l’ultima sentenza che ho vinto: l’assoluzione di M. F. sai quello incriminato per l’omicidio della moglie? Potrebbe essere interessante illustrartela visto che stai frequentando le lezioni di procedura penale.».
«D’accordo» disse Giorgio.
Seguì un imbarazzato silenzio nei pochi minuti che impiegammo per raggiungere il mio studio. Io aveva la bocca secca per l’emozione.
Il fatto era che non riuscivo a non pensare con desiderio al viso di quel ragazzo così giovane e bello, ai suoi occhi neri che erano entrati dentro i miei e non mi avevano più lasciato.
Quella confidenza che si era creata in così breve tempo tra di noi, gli sguardi che mi lanciava, mi sembrava che indicassero un interesse nei miei confronti. Era bello in quegli attimi farmi cullare da quei sogni e illudermi di poter andare oltre.
Certo, magari era solo interessato al mio ruolo di avvocato e chissà quante ragazze lo corteggiavano. O chissà quanti ragazzi giovani e belli come lui aveva conquistato.
Lui intanto continuava a fissarmi senza dire una parola. Solo adesso capisco che c’era un che di perverso in quel silenzio, come se stesse scommettendo sul mio imbarazzo. Ma allora, in quegli attimi, io vedevo dell’altro in quello sguardo, un che di stuzzicante: essere squadrato con durezza, con quello sguardo tagliente, me lo faceva diventare duro.
In fondo ho sempre desiderato essere sottomesso, anche pesantemente, da uomini autoritari e Giorgio aveva tutte le caratteristiche per esserlo, anche se per la prima volta un uomo che mi attraeva mi suscitava il desiderio di amarlo semplicemente, per quello che era. Sì certo, desideravo sentirlo dentro di me, ma desideravo anche essere amato da lui.
Non riuscivo a pensare alla mia famiglia in quegli attimi, solo lui occupava i miei pensieri, anche se lo conoscevo da così poco tempo.
Quando arrivammo a studio, come speravo non c’era nessuno. Le segretarie non sarebbero tornate prima delle 16 e i due ragazzi che svolgevano pratica forense con me, quel pomeriggio avrebbero lavorato da casa.
Dopo avergli mostrato lo studio, ci trovammo davanti allo schermo del pc portatile, seduti sul divano della mia stanza, per mostrargli i passaggi salienti della sentenza di cui gli avevo parlato.
Le mie mani si muovevano rapidamente sulla tastiera per far scorrere il file.
Potevo sentire il calore dei nostri corpi, tanto erano vicini.
Poi, le nostre gambe si sfiorarono.
Era inevitabile considerando la breve distanza che ci separava, però restammo così e io percepii un indugiare da parte di Giorgio, un attimo di troppo.
Decisi di spostare la gamba perché quel contatto mi provocava imbarazzo, ma di nuovo, dopo un po’, sentì la gamba di Giorgio sfiorare la mia.
Mi aveva cercato questa volta, non poteva essere casuale, gesti troppo ravvicinati per essere accidentali. Questa volta decisi di non spostarmi.
Allora allungai una mano e gli toccai l’orecchio. Poi gli accarezzai la guancia. Giorgio allungò una mano sopra la mia e me la strinse.
«Perché non ti togli il maglione» gli chiesi con la voce incrinata dall’eccitazione.
«Okay». Giorgio si tolse il maglione e poi si mise di nuovo a sedere accanto a me.
Io mi tolsi le scarpe e la giacca. Gli sbottonai la camicia e gli feci scorrere le mani lungo il costato e il ventre, che si contrasse al contatto delle mie dita. «Dio, come sei bello. Hai un corpo così asciutto, così tonico…così giovane!».
«Costituzione», fece lui con tono piatto.
Gli tolsi le scarpe e le calze. Allentai la cintura e gli sbottonai i pantaloni. Lui si inarcò e io gli sfilai i pantaloni e le mutande. Si spogliò a sua volta e si mise vicino a me.
Giorgio rispondeva ai miei gesti senza ostilità né disgusto, ma nei suoi occhi leggevo uno strano distacco, la calma impersonale di un animale o di un bambino.
Poi all’improvviso si alzò, andandosi a parare di fronte a me. Lo guardavo da sotto in su, con gli occhi pieni di speranza e desiderio.
“Che vuoi da me? – domandò Giorgio – Vuoi che ti scopi?”
Io arrossii. “Perché sei così brutale”
“È quello che vuoi. O no?”
Quando feci per alzarmi Giorgio mi mise una mano sulla spalla e mi spinse nuovamente a sedere.
Poi allungò una mano e afferrò la mia nuca, premendo con pollice e indice contro i muscoli tesi del collo. Lentamente, a malincuore, mi piegai in avanti, lasciando che la mia testa si posasse contro il suo pacco.
“E se volessi dirti che potrei innamorarmi di te?”
“Non dire cazzate. Te lo faccio venir duro, questo è tutto. E va benissimo così. Il resto sono sogni a occhi aperti. Però stai tranquillo, – rispose Giorgio facendo scorrere le dita tra i miei capelli – posso darti quello che cerchi.”
“Davvero?”
“Certo. Perché no? E anche molto di più di quello che hai ottenuto da quelli che fino ad oggi ti hanno scopato…Ma tutto ha un prezzo.”
“Che vuoi dire?”
“Tu sei un professionista affermato, ricco…probabilmente molto ricco! Uno studio come questo costa una fortuna mantenerlo. E’ un appartamento enorme nella zona più prestigiosa della città, non posso neanche immaginarne il valore.” Il suo sguardo vagò per la stanza come a voler saggiarne le dimensioni.
“Io, invece, sono uno studente universitario fuori sede, con un sacco di spese da sostenere”, proseguì con aria sprezzante. “Ma sono bello e tu non vedi l’ora di stare ai miei piedi”
“E quindi?” Gli chiesi con tono freddo, sorprendendomi pieno di risentimento e di rabbia.
“E quindi devi fare solo una cosa, ossia seguire i tuoi istinti più profondi avere fiducia in me. Tutto quello che faccio è per il tuo bene. So io cosa è meglio per te, tu non puoi saperlo veramente perché sei pieno di paure. Pensi che non abbia capito che sei nato per vivere appiattito all’ombra di un Uomo dominante come me? Solo che per farti raggiungere la felicità piena, quella che non hai mai vissuto, mi devi pagare. Non grandi somme di denaro, ma devi fare in modo di migliorare la qualità della mia vita. La definirei gratitudine.”
Rimasi a bocca aperta innanzi alle sue ultime parole. Sembrava che mi fosse uscita tutta l’aria dai polmoni, mi sentivo cadere all’indietro. Anche se ero sul punto di piangere, tenevo gli occhi aperti e lo guardavo fisso, aveva un ghigno compiaciuto. In pochi istanti mi ronzarono in testa mille pensieri, ma riuscii solo a dire: “Ma io sono sposato, con figli…”
“E allora? la tua famiglia deve restare fuori. Non aver paura non voglio rovinarti, voglio solo farti star bene e, in cambio chiedo la tua gratitudine.”
“Non ti spogli?” aggiunse con indifferenza.
Lo feci subito, come un automa, mentre la gola mi si stringeva, e ai polmoni arrivava soltanto un filo d’aria.
Per tanto tempo, per tanti anni ero stato fin troppo consapevole dei miei istinti di sottomissione, eppure mai avevo immaginato che la sensazione potesse essere così intensa. Come se, paradossalmente, mettere in atto la fantasia di annullarmi, servisse a farmi sentire più forte, perché la mia natura più intima finalmente trovava una piena realizzazione.
La sensazione di perdere il controllo di me riusciva di nuovo a farmi respirare.
“Vieni qui. Mettiti in ginocchio.”
Le mani di Giorgio mi afferrarono i capelli, tirandoli indietro e mi guardò fisso negli occhi: sul suo volto si dilatò un’espressione di sfida.
Decisi di cogliere quella sfida e mi consegnai a lui.

CONTINUA

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